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Angelo
Agazzani, Mario Allia, Bruno Bettinelli,
Paolo
Bon, Luca Bonavia, Giancarlo Brocchetto,
Roberto Cognazzo, Armando Corso, Marco Crestani,
Renato Dionisi, Fedele Fantuzzi, Sandro Filippi,
Jacques
Fombonne, Armando Franceschini,
Rccardo Giavina, Mario Lanaro, Marco Maiero,
Gianni Malatesta, Andrea Mascagni, Angelo Mazza,
Alejandro
Núñez Allauca, Giovanni Uvire, Giorgio Vacchi,
Giovanni
Veneri, Cecilia Vettorazzi, Mauro Zuccante
Cantar Storie
un viaggio
tra i monti
Ricerca
sul campo e apparato filologico a cura di:
Introduzione
C’è
forse, in qualche ipotetica e invisibile realtà, una biblioteca impossibile e
infinita che raccoglie tutto quanto è
storia. Ci sono libri, tanti, tantissimi libri, libri veri e sogni di libri,
pagine strappate dai quaderni o da vecchi registri, fogli che volano rosicchiati
dal tempo. E poi quadri, disegni, lettere scritte lette o solamente
incominciate. Pagine di diario. Annotazioni lunghe due dita.
Ma
manca qualcosa. Perché quella è una biblioteca impossibile, e infinita. Quella
è storia è la storia di questa terra e delle persone che l’hanno vissuta,
amata, ricordata, percorsa.
E
tante volte quando l’uomo soffre, o è tanto felice, mancano le parole per dire
davvero. Per dire usando una penna, o un mozzicone di matita, o una lettera a chi
si ama di più. L’uomo in quei momenti pensa. Forse chiude gli occhi. O si
guarda attorno, e sa che quel qualcosa che ha vissuto non lo può perdere così.
No.
Allora,
in quei momenti, può succedere.
L’uomo
canta.
È
un piccolo universo, quello dei canti popolari, che non hanno un autore un nome
un cognome una data, che non rientrano delle opere di famosi o sconosciuti
musicisti. No. Sono i canti del popolo, della gente. E non hanno un autore perché
forse un autore vero non esiste. È la voce delle persone che cantano emozioni,
storie, sogni, e quei canti sono come un filo che collega e si tramanda da padre
in figlio, da nonna a nipote, e quel filo non si ferma ma viaggia,
viaggia insieme all'uomo, collega luoghi e posti impensati, a volte ritorna ed
è tanto diverso da non poterlo nemmeno riconoscere.
Cantar storie.
Purtroppo
il tempo passa, e a momenti sembra correre troppo. Manca il tempo per fermarsi a
prender fiato, e i figli e i nipoti corrono troppo, anche loro, per sedersi un
momento a imparare canzoni. Così certe cose si perdono, come a svanire nel
vento, fino a diventare una piccola eco sottovoce.
A
volte allora sorge dal nulla un desiderio.
Quello
di riuscire a raccogliere ciò che resta di queste vecchie canzoni, andare la
domenica pomeriggio nelle osterie e nascondendoti dietro a un bicchiere di rosso
ascoltare quei quattro che si trovano a giocare alle carte e quando sono quasi
le sei incominciano a cantare. Ce n’è sempre uno che da la nota e decide la
canzone, la prima che gli viene in mente. Forse è lui, l’albero
di canto di cui parlava Bartok in quel suo libro, termine sublime per
riconoscere chi secondo l’opinione della gente del paese sa a memoria
“un’infinità di melodie”.
È
sempre lui che incomincia. Poi gli altri, dietro. Chi interza, chi “fa il
basso”, chi cerca di fare una parte che non esiste.
È
il mondo di quei dialetti ritrovati che i bambini non parlano più. I verbi in
disordine, gli avverbi storpiati. Ma quello che conta è il “cosa” ti stanno
raccontando: ti sembra di essere dietro a un vetro che rivela e nasconde, e
quello che ascolti è il tempo, non
ci sono santi.
Arriva
dal tempo. E racconta storie.
Così
incomincia qualcosa che è come una passione.
Ascoltare.
Raccogliere. E poi ritrovarsi con un baule di cassette registrate piene di
fruscii con solamente una voce di ottant’anni che ti canta storie impensabili.
Con una matita in mano ascoltare e riascoltare, cercare di ritrovare il
brandello di quelle storie tra parole incomprensibili, “mangiate” da un
tempo in tre quarti che sembra un valzer lento.
In
quel momento - di solito è sera, fuori dalla finestra aperta c’è già il
buio della notte su case e cose - la sensazione è così difficile da
raccontare. Ti senti tremendamente solo, soltanto tu e quella voce che canta. E
tu lo sai, cosa c’è. Lì dietro, appena lì dietro, c’è l’arcaico.
Ed
è una cosa che mette i brividi. Perché quelle storie non sono costruite, o
inventate: no, sono vissute. Chi le
ha cantate non ha fatto altro che dire e raccontare le sue emozioni, cercando la
musica per farlo. Avrebbe potuto dipingere un quadro, scrivere un libro, una
lettera, raccontare una storia. Invece ha chiuso un attimo gli occhi, e ha cantato.
È
difficile allora scegliere cosa fare. Se tenerli lì, quei motivi, come candele
in una chiesa, voci che cantano, e basta. Senza il coraggio di sfiorare quel
passato tanto lontano e tanto vivo da mettere paura.
Oppure
guardare oltre i fogli e le parole, e sentire che la realtà, tutta intorno, si
muove. Allora quel che si può fare è cercare di dare una nuova luce a
quelle storie, rivestirle di un abito che hanno perduto, mantenendo però
quell’identica atmosfera che avevano quando le hai ascoltate.
È
difficile, come un gioco di prestigio senza trucco. Ma c'è chi lo sa fare.
Musicisti che di notte non dormono, ascoltano, e ricostruiscono come quelli che
ricompongono i mosaici sbriciolati da un terremoto doloroso, sanno che una verità
non esiste ma quella che cercano è la loro verità, il loro senso di una
storia. Cercano accordi, pause, giocano con i movimenti delle parti, aggiungono
senza togliere, lasciando intatta quell’impressione che al primo ascolto, e
poi al secondo, e al terzo ancora, ti trasmetteva un brivido lento sulla pelle.
E alla fine quella è come magia.
All'inizio,
però, il lavoro è ben diverso. Bisogna saper ascoltare. Solamente, ascoltare. Leggere quelle storie, che perdono i pezzi da tutte le parti,
cercare di capire dove vogliono arrivare o dove arrivavano, una volta.
La
delicata e sottile arte della musicologia insegna anche questo: guardare da
lontano ciò che si è trovato e ricordare altre storie, sentite cantare anche
in posti impensati. Riuscire nella difficile opera di ricostruzione di una
piccola opera d’arte, capire che là una volta c’era una strofa in più che
adesso nessuno si ricorda, intuire che quella parola una volta era un’altra,
dimenticata o semplicemente ascoltata male.
Lasciar
perdere ogni pretesa di ricostruire esattamente limitandosi a ritrovare ciò che
c’è ancora, che sta per scomparire, forse è solamente un fantasma. Ritrovare
una storia che è nata quassù e forse ha viaggiato, è andata lontano poi è
ritornata, e magari ha visto il mare. E tu la ritrovi in più modi, raccontata
in due, tre, magari cinque canzoni diverse.
Saper
capire. Senza paura, usando la tua paura come ciò che ti permette di andare
avanti, scoprire, ritrovare, raccogliere frammenti, ritrovare quelli che con il
tempo si sono smarriti. E - alla fine - intravedere l’essenza di queste storie
ossolane. Piccole. Fatte di parole e musica.
Sono
storie semplici.
Cantano
di amore, di lavoro, di morte e tristezza. Cantano di partenze e di ritorni, di
terribili paure e di attimi che sembrano sospesi nel tempo. Cantano il dolore e
qualche volta anche la gioia, ma non è mai una gioia fragorosa, che fa rumore.
No.
È
un sentimento soffuso, avvolto da un pudore che qualche volta si fa rimpiangere.
E c’è quella malinconia che pervade ogni parola, malinconia non sempre
triste, che fa rima con la semplicità.
E
c’è un’altra cosa, poi. Queste storie si lasciano raccontare. Così, come
una volta le favole. Tu ti siedi guardi i suoi occhi e le dici “se vuoi ti
racconto una storia”. Lei ti dice sì. E tu incominci.
Sono
tante, le canzoni che ancora si raccontano in quest’Ossola, tra le vecchie
case i giardini e le osterie. Basta ascoltare.
E ogni tanto salta fuori qualcosa che ancora ti sorprende, anche se eri convinto
di aver ascoltato tutto. Storie così. Che non appena incominci a “dirle”,
finiscono.
È
stato un piccolo viaggio. Le canzoni ascoltate, ritrovate, raccolte, sono molte.
E ognuna ha una sua storia da raccontare. Rimane quel senso di stupore di fronte
a quell'angolo di biblioteca impossibile che sa dire tanto di un’Ossola
antica.
Succedono
cose da non crederci quando la gente non sa trovare le parole per raccontare le
sue storie e allora, proprio così, senza pensarci, canta.
Luca Bonavia
Presentazione
Nel
presente lavoro, incentrato sugli esiti di canto popolare (si è volutamente
trascurato il copioso materiale liturgico che meriterebbe un’analisi
autonoma), si è estesa l’analisi anche alla Valle Cannobina, che costituisce
un naturale prolungamento della Valle Vigezzo verso l’area del Lago Maggiore.
Si
è inoltre creata una generica sezione riferita oggettivamente all’intera “Ossola”,
ivi comprendendo quei motivi reperiti nelle cittadine del fondovalle oltre ai
canti conosciuti e ricordati ovunque senza significative variazioni e per i
quali è dunque possibile stimare un’appartenenza comune.
Diverse
culture e tradizioni storiche hanno lasciato nel tempo rilevanti tracce sul
territorio Ossolano: in modo particolare il Ticino e l’area lombarda del Lago
Maggiore, oltre al Canton Vallese e alla Bassa Novarese.
Il
lavoro, pazientemente svolto nell’arco di alcuni anni, è stato concepito con
riferimento a numerosi esempi di ricerche musicologiche in ambito popolare, dai
lavori di Nigra e Sinigaglia alle più recente opere di Agazzani, Leydi,
Pedrotti, e a tale scopo è stato organizzato in più fasi tra loro strettamente
connesse e coordinate.
È
opportuno fornire alcune precisazioni a tal proposito.
-
La prima fase è stata quella di raccolta e censimento delle fonti popolari
mediante una preliminare attività di contatto con i centri delle valli ossolane,
volta ad individuare un alto numero di informatori il più possibile affidabili;
-
il reperimento sul campo del materiale disponibile (grazie alle indicazioni e
all’intervento degli informatori) è stato effettuato registrando la viva voce
dei cantori spontanei. In linea generale si è scelto di registrare
integralmente il materiale raccolto, operando comunque una prima opera di
selezione che ha escluso gli esiti palesemente di scarso interesse non
presentando rilevanti variazioni rispetto a quelli comunemente conosciuti;
-
si è effettuata un’attenta verifica dei testi letterari, intensificando le
ricerche e ritornando più volte sul luogo di raccolta nel caso si notassero
evidenti corruzioni legate a dimenticanze, interventi esterni o semplici errori
di esecuzione non riconducibili a spontanee “varianti” popolari;
-
i soggetti musicali (debitamente trascritti seguendo i criteri che verranno in
seguito esposti) ed i testi letterari sono stati inseriti nell’archivio
generale del materiale raccolto, nella loro integrità e senza alcun intervento
se non necessario ed adeguatamente motivato;
-
tale materiale è stato quindi inviato ai musicisti, contattati sulla base
dell’esperienza in campo corale o dell’interesse dimostrato verso spunti
popolari, i quali hanno potuto elaborare liberamente ciò che è stato raccolto;
-
i risultati della ricerca verranno ora presentati in modo completo,
nell’ambito della presente opera suddivisa in due volumi.
A
fianco delle elaborazioni (tutte per coro virile), si è optato per la
compilazione di schede etnomusicali riferite
a ciò che è stato effettivamente raccolto sul campo, corredando dunque la
trascrizione della linea melodica e del testo con tutte le notizie ed i
riferimenti etnomusicologici che appaiono di rilevante interesse per
un’analisi ed un confronto anche a livello interregionale e nazionale.
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