FORMU MONTE LEONE - 10 AGOSTO 2002
Varzo – San Domenico 10 Agosto 2002
Monte Leone, la vetta più
alta delle Alpi Lepontine
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Guida Alpina e Gestore del Rifugio CAI Arona
“La notte è gelida e tersa. All’una e mezza, dopo un
breve sonno interrotto bruscamente dal piccolo
trillo un poco rauco di una sveglia da tasca, i due alpinisti, calzate le
racchette, lasciano la baita diretti alla Bocchetta d’Aurona. Il cammino è
difficile : fronde strappate dalla cieca
violenza della bufera giacciono a terra
formando un fitto intrico, che la neve è andata man mano seppellendo. La
neve avvolge tutto il paesaggio illuminato dal plenilunio. Com’è lontano il
ricordo del familiare aspetto estivo, un poco bucolico dell’alpe del Veglia.
Immaginate, per contro, lo scenario invernale: impossibile non provare un vago
timore pensando a quella sterminata piana chiusa da alte montagne da tutti i
lati, con l’unica via d’accesso, quella del Groppallo, costantemente minacciata
dalle valanghe. E loro due, invece, come se niente fosse , su verso il
ghiacciaio …..”
Il brano tratto dal libro di Marco Fortis “Dal Monte
Leone al Basodino” è parte del racconto di una delle ultime grandi imprese
dell’epoca pionieristica dell’alpinismo del Monte Leone: la prima ascensione,
per lo più invernale, per la parete nord direttamente dalla Bocchetta d’Aurona
da parte degli alpinisti Calegari e Scotti nei giorni 11 e 12 febbraio 1911. L’ascensione concludeva
una fase molto importante dell’alpinismo del Monte Leone ed apriva la strada
alle future nuove tendenze dell’alpinismo.
Gli anni fra la fine dell’Ottocento e i primi
Novecento furono il periodo “dell’alpinismo esplorativo” nel quale gli
alpinisti cittadini, colti e benestanti, si facevano accompagnare da guide
valligiane. Le guide conoscevano i luoghi, portavano i viveri ed erano garanti della sicurezza durante
l'ascensione. Spesso le guide alpine erano anche cercatori di cristalli e
grandi cacciatori di camosci e queste attività abituali erano la “formazione naturale” al mestiere.
L'alpinismo esplorativo vede la ricerca di itinerari
di salita lungo i versanti non conosciuti delle montagne, non ricerca le
difficoltà o la "via" impegnativa ed esteticamente "bella".
Il fascino di un versante vergine e mai percorso dall'uomo catalizzava sogni e
progetti di quella generazione di guide e di alpinisti. Gli attrezzi erano le
"picche", allora evoluzione moderna dell'alpenstock, le pesanti corde
di canapa che si irrigidivano se impregnate d'acqua, gli scarponi chiodati. Di
chiodi e moschettoni non si fa cenno nelle relazioni dell'epoca. Emerge
tuttavia una concezione già "moderna" del salire le montagne, una
visione per cui la velocità di progressione diventa fattore di sicurezza a
volte più importante dell'assicurazione sui singoli passaggi. Alla base della
metodica di scalata stanno le condizioni della montagna e il tempo disponibile:
da essi dipendono tecnica e progressione della salita.
L’americano William
August Brevoort Coolidge (New York 1850 - Grindelwald 1926) e l’italiano Riccardo Gerla (Milano 1861 - 1927)
furono i protagonisti, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, dell’esplorazione
alpinistica sulle Alpi Lepontine occidentali. Intellettuali dell’alpinismo,
percorsero sistematicamente, accompagnati da guide locali, i monti e le creste
di Veglia.
Coolidge, pastore protestante, professore di storia
inglese e direttore dell’”Alpine Journal” (la prestigiosa rivista del club
alpino inglese), compì oltre mille ascensioni sulle Alpi occidentali. Con
Martin Conway pubblicò nel 1892 la “Climbers’ Guide to the Lepontine Alps”, la
prima guida alpinistica di questi monti. Significativamente pubblicata in
lingua inglese, perché quello era il “mercto” alpinistico del tempo.
Accompagnato dalle guide Christian Almer senior e junior di Grindelwald, tra il
1886 e il 1896 raggiunse 69 vette e passi sulle Lepontine. Sui monti di Veglia
salì per la prima volta il Pizzo Valgrande di Vallé (1890) e aprì vie nuove sul
Rebbio (1889), l’Hillehorn (1891 e 1893), la Punta Mottiscia (1892) e
l’Helsenhorn (1889, 1891 e 1894).
Riccardo Gerla, funzionario di banca, fu definito l’
“apostolo dell’Ossola” per l’amore per le Lepontine a cui dedicò la vita
alpinistica e numerose pubblicazioni. Tra il 1889 (salita al Monte Leone) e i
primi anni del ‘900 esplorò a fondo i monti di Veglia, Devero e Formazza
accompagnato dalle guide Lorenzo Marani di Antronapiana e Vittorio Roggia di
Veglia.
In Veglia salì in prima ascensione o con itinerari
nuovi la Punta d’Aurona, il Rebbio e la Punta di Terrarossa (1890); la Punta
Mottiscia e il Pizzo del Moro (1892). Con Marani e Roggia aprì nel 1894 la via
(oggi classica) che supera lo scivolo ghiacciato della parete nord-est
dell’Helsenhorn. Capofila della “scuola milanese” dell’alpinismo esplorativo di
fine ottocento (Edoardo Perondi, Democrito Prina, Carlo Cressini e Carlo
Casati), Gerla contese a Coolidge la conquista di molte vette e salì dal
versante italiano le cime che l’americano saliva da quello svizzero. Una “Punta
Gerla” lo ricorda in Devero, tra il Cervandone e lo Schwarzhorn.
Vittorio
Roggia
(1864 - 1934) fu la prima guida alpina di Varzo. Figlio del gestore
dell’Albergo “Monte Leone”, fu il migliore conoscitore dei monti di Veglia alla
fine dell’Ottocento. Grande cacciatore di camosci, a 28 anni divenne guida (una
delle prime dell’Ossola) e accompagnò i migliori alpinisti milanesi e inglesi
della fase esplorativa ricevendone unanimi elogi per la calma sicurezza e il
civile comportamento (“We found him besides a well-behaved, civil fellow”).
Scoprì la via del Passo d’Avino al Monte Leone e realizzò la prima ascensione
della parete sud-est (con Carlo Cressini e Franz Jarba, 1892). Con Gerla e
Marani scalò il difficile versante nord-est dell’Helsenhorn (1894). Compì la
prima ascensione della Punta di Terrarossa per la cresta sud e del Rebbio per
l’accidentato Ghiacciaio di Mottiscia. Vittorio Roggia fu il capostipite di una
tradizione di guide valligiane a Varzo e Trasquera che continua anche oggi.
Ebbe cinque figli; i tre maschi Alfonso, Corrado e Renato furono brave guide
alpine che onorarono la professione e i monti di Veglia.
Nel 1859 un gruppo di ufficiali svizzeri salirono
per la prima volta la montagna, dal Sempione e lungo la cresta sud,durante
operazioni di controllo del confine con il Piemonte, allora impegnato nelle
guerre d’indipendenza contro l’Austria. Alla fine del secolo vennero percorse
le grandi pareti sul versante di Veglia. Protagonisti furono i pionieri
dell’alpinismo esplorativo: Giorgio Spezia nel 1874, W.A.B. Coolidge nel 1891,
Vittorio Roggia, la guida di Veglia, nel 1892, Ettore Allegra e Gian Domenico
Ferrari nel 1893. Alpinisti che … non si
arrestavano di fronte alle rocce più degradate.
In seguito vennero aperte numerose vie anche di alto
valore tecnico quali:
16 agosto 1892 |
Parete nord-est via Roggia |
Carlo Cressini, Franz Jarba e Vittorio Roggia Itinerario di misto che traversa diagonalmente
tutta la parete con lunghi tratti di roccia friabile; percorso d’epoca alla
ricerca dei punti vulnerabili della montagna. |
23
agosto 1898 |
Parete nord-est
via diretta |
Ettore Allegra e Gian Domenico Ferrari Dislivello 1300 m; itinerario molto pericoloso su
rocce pessime e malsicure |
15
agosto 1945 |
Spigolo est via Bonacossa |
Aldo Bonacossa e Gigi Vitali Dislivello 1200 m; difficoltà D- con passi di
III/IV; itinerario su roccia friabile. |
28/29
Giugno 1959 |
Parete sud via Diretta al Pizzo
D’Avino |
Piero Signini e Pippo Brigatti Dislivello 900 m; ore 11, difficoltà passi di
IV/V; . |
26
luglio 1970 |
Pilone Centrale della parete nord pilone Del Pedro |
Biagio Montagnoli e Aldo Del Pedro, Altezza del pilone roccioso: 500 m; difficoltà TD
con passi di V; ore 9,30 dall’attacco; usati 19 chiodi da roccia e 7 da
ghiaccio Itinerario dedicato a
Beniamino Farello |
14
luglio 1974 |
Spigolo nord-est via Claisen |
Flavio Bonzani, Luigi Bortolin, Vittorio Claisen Dislivello: 770 m; difficoltà D+ con passi di V;
ore 6; usati 20 chiodi. |
15-16
settembre 1978 |
Parete nord via del Cinquantenario |
Giovanni Pucci e Claudio Sora, Dislivello: 770 m; difficoltà D+ con passi di
III+/IV, pendii nevosi fino a 55°; ore 13 dall’attacco; usati 27 chiodi da roccia e 7 da ghiaccio.
Itinerario dedicato al 50° di fondazione del CAI di Arona. |
Il
fascino che il Monte Leone ha sempre esercitato sulle popolazioni locali ha
prodotto sin dai primi del novecento ai giorni d’oggi un interessante movimento
di esperti alpinisti e valide guide alpine. Infatti oltre al già citato
Vittorio Roggia mitica guida del Veglia si ricordano:
-
i
suoi tre figli Alfonso, Renato e Corrado che furono altrettanto brave Guide
Alpine ;
-
Franz
Jarba un austriaco capitato a Trasquera non si sa come che oltre ad
accompagnare Vittorio Roggia nelle
ascensione era il suo compagno di caccia al camoscio ;
-
Leone
Storno nato il 23 ottobre 1872 e morto l’8 marzo 1940. Di lui hanno scritto “
Alla rudezza del suo fisico, temprato dalle tormente, accoppiava una squisita
gentilezza d’animo” ;
-
Grossi
Antonio;
-
Vairoli
Giuseppe e suo figlio Vairoli Beniamino;
-
Iulini
Felice;
-
Giovanninetti
Edoardo
-
Ciocca
Lino
-
Sartore
Remo
-
Del
Pedro Pera Aldo la guida che meglio di
tutti conosce i segreti di questa montagna avendola salita, per il momento, per
ben 98 volte
-
Farello
Beniamino
-
Dell’Ava
Rinaldo uno dei massimi esponenti del nuovo modo di salire le montagne. E’
autore, in compagnia dell’alpinista Giuseppe Biselli, della prima invernale del
“Pilone Del Pedro)
Oggi per raggiungere la cima del Monte Leone non
sono più necessarie le lunghe , ma affascinanti, marce di avvicinamento dei primi del novecento. Le moderne
tecniche di alpinismo e la maggior facilità di accesso alle località poste ai
piedi del Monte Leone hanno radicalmente modificato i modi ed i tempi di
salita. La cima è ora facilmente raggiungibile in giornata grazie anche al
fatto che alle sue pendici si possono utilizzare confortevoli strutture di
accoglienza quali:
in territorio Italiano:
-
Rifugio
Cai Arona in località Alpe Veglia;
-
Il
Bivacco “Farello” alla Bocchetta d’Aurona (mt. 2770);
in territorio svizzero
-
Ospizio
frati al passo del Sempione;
-
Monte
Leone Hutte posto nella conca retrostante la Bocchetta d’Aurona.
Oggi alcuni dei principali itinerari non sono più
percorsi e sono improponibili perché troppo pericolosi per la pessima qualità
della roccia, rotta e friabile. Di interesse alpinistico moderno sono la cresta
ovest per la “paretina” e il “Pilone Del Pedro” sul versante nord e la cresta
est
La paretina è uno scivolo di ghiaccio alto 200 m e
inclinato a 45° che dal Chaltwassergletscher sale alla base della cresta ovest.
E’ un itinerario frequentato, specialmente in inizio stagione quando i grandi
crepacci del ghiacciaio sono chiusi e il superamento della crepaccia terminale
è meno impegnativo. L’itinerario, utile introduzione all’alpinismo in alta
montagna, presenta tre aspetti: la scelta del percorso tra i grandi crepacci,
la ripida paretina da salire in progressione diretta , e l’arrampicata su
roccia lungo la cresta ovest.
Il Pilone Del Pedro e la cresta est sono invece alla portata solo di ottimi alpinisti
in quanto presentano elevate difficoltà alpinistiche
La cima può comunque essere raggiunta da chiunque
abbia discrete qualità alpinistiche per la via “normale” che prevede la salita
della “cresta sud” raggiungibile sia dal versante svizzero dal Passo del
Sempione superando il passo del Breithorn, oppure dall’alpeggio di Alpien lungo
l’omonimo ghiacciaio, che dal versante
Italiano passando dalla lago Davino ed
il ripido canalone che porta al passo del Fnè
Bibliografia:
Archivio
Paolo Crosa Lenz
“Dal
Monte Leone al Basodino” di Marco
Fortis - Edizioni Grossi