FORMU MONTE LEONE - 10 AGOSTO 2002
Varzo – San
Domenico 10 Agosto 2002
L’Alpe Veglia un territorio in due comuni, amministrato dal Comune di Varzo, cenni storici sullo Statuto dell’Alpe Veglia
Bruno Stefanetti
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Sindaco di Varzo
Presidente della Comunità Montana Antigorio, Divedro e Formazza
I
L’Alpe Veglia, ampio e suggestivo pianoro capace di ospitare, nei secoli scorsi e nel periodo estivo, anche duemila capi fra bovini, equini e caprini, ha sempre avuto, per la Comunità della valle Divedro, l’economia della quale per secoli si è basata sull’agricoltura e sulla pastorizia oltre che sui proventi dei traffici, un’ importanza fondamentale.
Allo stesso modo l’Alpe, per le sue caratteristiche, ha sempre suscitato l’interesse di popolazioni vicine, in primo luogo gli abitanti del Vallese, per cui, nei secoli, è stata fonte di discussioni, contrasti, battaglie ma, anche, di accordi, componimenti amichevoli, trattati di pace prima fra le popolazioni confinanti e, poi, in epoca più recente, fra gli stessi Valdivedrini.
Gli statuti della Valle Divedro, adottati il 14
gennaio 1321, come risulta dal verbale di riunione in cui si dice: “
“ In nomine Domini amen. Anno nativitatis eiusdem
millesimo trecentesimo vigesimo primo, indictione quarta, die quartodecima
Januarii….”
non parlano espressamente dell’Alpe Veglia ma
trattano dell’utilizzo del territorio, unitamente agli altri Alpi -Ciamporino,
Vallè, Balmelle- distinti dalle montagne sottostanti e accomunati sotto la denominazione
di corti vecchie “Curtes Veteres”
(art.4), da cui alcuni storici hanno ritenuto di poter far derivare il
toponimo Veglia dal dialettale Veja che ha assonanza con Vegia = Vecchia.
Secondo lo storico Prof.Bertamini i documenti
latini più antichi, invece, indicano l’alpe con il termine Alpis Devegla o con l’equivalente Alpis Vegle, da
tradursi come Alpe della vigilanza,
della veglia.
Veglia dunque è sinonimo di vigilia, ossia
vigilanza, e questo significato -che potrebbe risalire dal secolo VI in poi,
quando la corona delle nostre montagne costituiva il confine fra il regno
italico dei Longobardi e quello dei Burgundi- non perderà di valore anche in
tempi più recenti, attesi i contrasti secolari fra le comunità italiane e
quelle walser -insediatesi sul versante meridionale del Sempione nel secolo
XIII- per l’utilizzo della importante fonte di reddito.
Gli Statuti della Valle Divedro ci presentano una
organizzazione già consolidata da una lunga tradizione, segno che il processo
di acquisizione dell’alpe alla comunità della Valdivedro si era già concluso ed
era stato definito il modo di sfruttarla fissando il tempo e le modalità del
pascolo vicinale: alle frazioni più alte della valle, quali Trasquera e
Bugliaga, fu assegnato il pascolo di tutta la zona dell’alpe sulla sponda
destra dell’Aurona - Cairasca, mentre il resto fu pascolato dagli altri
frazionisti.
I pascoli Ciamciavero, Aione ed Aurona, quindi,
furono soprattutto in uso degli uomini di Trasquera. Il toponimo Ciamciavero
indica un’origine legata al pascolo delle capre: Ciamp = campo, ciavero = delle
capre. Aione è toponimo di origine incerta, ma qualcuno ritiene che esso possa
aver dato luogo a quello del Monte Leone, che fino al secolo XIX° non aveva un
nome proprio.
E’ possibile che i cartografi abbiano chiesto il
nome del monte alla gente dell’Alpe, la quale non potè dir altro se non che il
monte era assegnato al pascolo di Aione, che era il “Munt d’l’Aiun” frase
dialettale che, non si sa se in sede di audizione o di trascrizione, i cartografi
potrebbero avere trasformato in “Monte Leone”.
Gli Statuti fornivano indicazioni circa le modalità
di utilizzo dell’Alpe e dei beni comuni che in parte risultano essere attuali
ancora oggi.
Gli articoli 4° e 5° in particolare disciplinavano la materia:
·
Articolo 4° DE EUNDO AD ALPES
Item hanno ordinato che qualunque
persona di detta valle Divedro sia obbligata e debba andare alli alpi e corti
vecchi con tutte le bestie sterpe e da latte il giorno dopo la festa di
S.Giovanni Battista (24 giugno) e debba stare ivi alle casere sino alla festa
di San Bartolomeo (24 agosto) prossima a venire. E che non possano né debbano
fare alcune casate fuori degli alpi………E allora possano, se saranno della
medesima volontà tutte le persone di detta valle, discendere dalli alpi in
Logneno, in Nembro, in Mogano e nel Colterio, come è antica consuetudine.
·
Articolo 5° DE EUNDO
ET DESCENDENDO IN ALPES ET IN MONTES
Item hanno ordinato che tutte le persone di detta valle di Divedro siano obbligate e debbano ascendere e discendere per tutta la valle di Divedro in piano, monti e alpi, conforme sarà ordinato e pubblicato dalli credenzieri di detta valle, sotto la pena che sarà ordinata e comandata, la quale sia del comune.
Gli statuti della Valle Divedro, furono scoperti e
pubblicati dal sacerdote Don Giorgio Alvazzi, un appassionato ricercatore di
antiche vestigia della valle, che ne rinvenì una prima copia -poi andata
smarrita- intorno al 1900 nell’archivio comunale ed un’altra copia, quella che
oggi abbiamo a disposizione, in epoca successiva, anteriore al 1943.
Il manoscritto che abbiamo in visione, gelosamente
custodito nell’archivio del comune di Varzo, si presenta in buono stato di
conservazione, è abbastanza leggibile, consta di 126 articoli, oltre ad un
articolo aggiunto in epoca successiva.
Le norme statutarie locali non rivestivano
carattere giurisdizionale - che invece avevano gli statuti della Corte di
Mattarella per tutto il territorio ossolano - ma piuttosto amministrativo ed
economico e nacquero come convenzioni giurate tra i membri delle singole
collettività, convenzioni dapprima consuetudinarie, tramandate oralmente e
trasfuse poi, con innovazioni ed emendamenti, nella “legge scritta”.
Queste convenzioni o patti venivano concordati
nelle riunioni della comunità, nelle quali gli appartenenti ad essa di pieno
diritto, i vicini, proponevano, discutevano ed approvavano a maggioranza i
singoli statuti. L’assemblea vicinale,
detta vicinanza o consiglio generale, presieduta dai Consoli, era valida, solo
con la presenza dei due terzi degli aventi diritto, i vicini capi famiglia, i
quali potevano intervenire personalmente o con propri delegati.
Le assemblee si svolgevano nella “sosta” comunale,
una costruzione bassa, vicino alla chiesa parrocchiale - la vecchia panetteria
sotto l’attuale ufficio postale - edificio la cui parte anteriore era a portici
sostenuti da colonne ed era così chiamato perché le merci in transito per la
valle Divedro dovevano sostarvi, pagare il pedaggio, essere divise fra i
portatori, ecc. secondo precise disposizioni inserite negli statuti.
Alla approvazione degli statuti, nella seduta del
14 gennaio 1321, erano presenti tre consoli e ventitre tra consiglieri e
credenziari “…qui sunt due partes
totius generalis consilii praedictae Vallis Diverii….”.
Da questa proposizione si evince che i componenti del consiglio generale erano
circa una quarantina.
Oltre al verbale introduttivo, in fine ai capitoli,
ve n’è un altro che attesta come il 20 ottobre 1322, si svolse una nuova
sessione del consiglio generale, nella quale gli statuti “…fuerint approvata
firmata et ratificata per consules et credentiarios….”, La successiva
approvazione da parte di una Autorità superiore è molto più tarda…:essa avvenne
nel 1466 ad opera di Bianca Maria Sforza, reggente in assenza di Galeazzo Maria
Sforza, con una lettera che ora è acclusa al manoscritto.
Al momento della approvazione degli statuti nel
1321 Varzo e Trasquera costituivano un’unica comunità della Valle Divedro il cui ambito territoriale si estendeva
dalla forra di Crevola fino oltre le Gole di Gondo, nella località di
Latinasca, oggi Simplon Gabi, ove dalla confluenza dei torrenti Kormbech e
Laquin nasce il torrente Diveria.
Il territorio era solcato da una strada, la via
“Francisca” citata dagli statuti che da tempo immemorabile collegava Milano con
il nord Europa, costituiva la via di comunicazione più agevole per i trasporti,
la direttrice prediletta dai mercanti e rappresentava, quindi, un rilevante
cespite per i locali e per i signori di Novara e di Milano e per i vescovi
signori del Vallese che traevano profitto dagli intensi traffici, consentendo
l’organizzazione dei trasporti e riscuotendo una quota dei pedaggi.
Dopo che il Vescovo di Sion era divenuto
proprietario del Sempione, prima appartenente ai signori di Biandrate e di
Castello, una continua ed incessante infiltrazione di elementi vallesani
attuata mediante acquisti di cascine ed appezzamenti di terra ed anche con la
forza, portò questi ad impadronirsi di Gondo, di Latinasca, di Frassinodo, della
val Vaira : luoghi che erano nel Contado del Vescovo di Novara ma che i
Vallesani germanizzarono.
Ciò generò innumerevoli violenze e ritorsioni da
ambo le parti che sfociavano a volte in veri e propri conflitti.
Erano piccole guerre alpine che, iniziate verso la
metà del 1200, terminarono solo all’inizio del XVI Secolo. Di tanto in tanto
intervenivano tra le due comunità trattati di pace e composizioni amichevoli
che, però, duravano poco, così come duravano poco quelle più solenni tra i
Cantoni svizzeri ed il Vescovo di Novara, in un primo tempo, ed il Duca di
Milano, in seguito, stipulati essenzialmente per rendere il più possibile
tranquilli i traffici.
Le vicende dell’Alpe Veglia si inseriscono in questi secolari contrasti che nel secolo XV si inasprirono.
Dopo due secoli di contrasti, guerre, trattati di
pace violati da ambo le parti,
una pace fu conclusa il 28 Agosto 1447 a
Domodossola ma, anche questa, ebbe effimera durata poiché i vallesani, che
ormai di fatto si erano stanziati a Latinasca, a Frassinodo ed a Gondo, nel
marzo 1448, si spinsero fino a Trasquera, incendiandola e saccheggiandola.
I consoli della val Divedro mandarono ambasciatori
per venire a trattative ma i Vallesani, approfittando della situazione
favorevole, vollero l’impegno solenne che sarebbero stati pagati entro un
termine prefissato, 2000 ducati d’oro, come risarcimento, per i danni subiti
dagli abitanti di Frassinodo in
occasione di una precedente incursione dei Valdivedrini e per le spese della
spedizione militare di ritorsione: i Valdivedrini pressati dalle circostanze
dovettero accettare.
I Vallesani, al fine di assicurarsi il pagamento
pretesero dai Valdivedrini l’assegnazione sotto forma di pegno di tutta
l’Alpe di Veglia con le sue pertinenze.
L’Alpe viene così descritta e coerenziata: una
pezza di terra, prato, bosco, gerbido e con cascine e case, giacente nel
territorio della valle Divedro dove si dice e denomina Alpe di Veglia, a cui
confina da una parte il monte di Nembro, dall’altra la terra dell’alpe
Vallario, dall’altra la terra dell’alpe di Bondolo e come è terminata la stessa
alpe. Si convenne che qualora alla scadenza fissata per il pagamento non
fosse stato mantenuto l’impegno assunto, l’Alpe di Veglia sarebbe passata in
possesso del Vescovo di Sion fino a quando tale pagamento non fosse stato
completato.
La comunità della val Divedro non effettuò il
pagamento, troppo oneroso per le sue finanze, e l’Alpe passò ai Vallesani i
quali ne mutarono denominazione chiamandola “Alpe Livi”.
Ciò inasprì enormemente le relazioni tra le
comunità confinanti: furono compiute scorrerie, razzie, uccisioni, incendi da
una parte e dall’altra.
Questa situazione di continua precarietà creò
ulteriori ed inevitabili ostacoli per i traffici e le comunicazioni attraverso
il valico del Sempione.
La cosa indusse il Vescovo di Sion, Enrico Esperlin
ed il Duca di Milano Francesco Sforza ad adoperarsi per tentare di conciliare
le due comunità: il Vescovo si disse disposto a ridurre a 1000 ducati il
proprio credito, purchè il saldo avvenisse tempestivamente.
Finalmente il 5 marzo 1456, sulla strada pubblica
presso la chiesa di San Marco a Paglino, i rappresentanti delle due comunità
firmarono una pace. Con essa, del resto già fissata dal Vescovo Esperlin e da
Antonio da Casate, commissario del Duca Francesco Sforza, l’Alpe Veglia fu
restituita alla comunità della val Divedro, mentre il debito di quest’ultima si
reputò estinto essendo rimasto ai Vallesani un numero considerevole di capi
di bestiame, razziati poco prima.
Con questo atto del 1456 l’Alpe di Veglia tornò
nella completa proprietà della comunità della Valle Divedro anche se le
scorrerie furono ancora frequenti: la tradizione vuole il toponimo di “Pianezza
di mort” assunto da un luogo dell’alpe Balmelle ove avvenne uno scontro
mortale.
Dalla fine del 1400 in avanti fino alla prima metà
dell’800 la storia dell’Alpe Veglia non subì vicende degne di nota anche perché
un trattato di pace definitivo del 1495 fra il Duca di Milano Ludovico il Moro
ed il Vescovo di Sion, regolamentò i confini fra l’Ossola ed il Vallese al
quale fu assegnata la Val Vaira ed il territorio del Sempione fino a Gondo, sì
che, anche i rapporti tra le popolazioni confinanti divennero sempre più
amichevoli e collaborativi.
Ci fu probabilmente un accordo che si tramanda fosse
stato formalizzato in località “Pian dul scricc” accordo che, si suppone,
riguardasse un patto stipulato fra i Valdivedrini e gli alpigiani di Baceno e
Cravegna circa i pascoli della zona di PassoValtenda e Sella di Ciamporino o,
secondo altri interpreti, una regolamentazione per il pascolo dell’Alpe fra le
varie frazioni della comunità Valdivedrina: non c’entravano, in ogni caso, i
rapporti con i vicini Vallesani.
Poiché in origine la valle Divedro era un’unica
comunità ed un unico ente territoriale, allorché Trasquera si rese indipendente
da Varzo, nacque, dopo l’Unità d’Italia, la necessità di ripartire fra gli Enti
i beni immobili di proprietà della Comunità e, possibilmente, di determinare in
via definitiva i confini territoriali dei due comuni.
La questione, estremamente controversa, riguardava
non solo l’Alpe Veglia ma anche altre zone “di confine”, altri alpeggi e boschi
che costituivano, per l’epoca, la parte più importante dell’economia dei
comuni.
Si diede corso ad una causa, avanti il Tribunale di
Domodossola per la assegnazione delle proprietà dei beni.
I giudici affidarono l’incarico di redigere un
progetto divisionale ad un consulente, l’Ing.Protasi, il quale, valutò l’intero
patrimonio alpestre e boschivo dei due comuni e formulò un progetto di
divisione datato 25 febbraio 1863 nel quale era elaborata una precisa
planimetria del territorio dei due comuni, erano indicati i valori dei beni,
era proposta la ripartizione degli stessi fra i comuni.
In tale progetto, fra l’altro, l’Alpe Veglia, era
assegnata in proprietà nella parte destra idrografica del torrente Aurona –
Cairasca, al comune di Trasquera mentre l’altra parte rimaneva al Comune di
Varzo.
Il progetto divisionale fu fatto proprio dal
Tribunale che decise la causa con sentenza del 30 luglio 1864 la quale non
definiva la questione della giurisdizione territoriale fra i comuni ma
esclusivamente, quella della proprietà dei beni: verso tale sentenza il Comune
di Varzo interpose appello.
Si svilupparono fra i comuni trattative ulteriori
per una possibile transazione che definisse sia la questione della proprietà
sia quella della giurisdizione territoriale.
Trasquera pretendeva di estendere la giurisdizione
del proprio comune su tutti i beni assegnatile in proprietà dalla sentenza del Tribunale
mentre Varzo, intendeva conservare la propria giurisdizione territoriale non
secondo la proprietà, assegnata nella sentenza, come pretendeva Trasquera, ma
estendendola a tutta l’Alpe Veglia, alle montagne di Gasparione e di Nembro, di
Cioina, Lei fino a Balmalonesca.
Finalmente i comuni in lite decisero di chiudere la
dispendiosa vertenza mediante un amichevole componimento sottoscritto il 4
gennaio 1865 presso gli uffici della sottoprefettura di Domodossola –
Prefettura di Novara.
Con l’accordo, in relazione alle proprietà, si
accettarono sostanzialmente le indicazioni della perizia Protasi, con alcune
modifiche circa la proprietà di alcuni terreni, l’uso di altri, le spese ed
onorari a rispettivo carico.
In ordine invece alle questioni relative alla
giurisdizione territoriale, i due comuni dichiararono che a titolo di
amichevole componimento della vertenza
si sarebbero uniformati alla decisione che, sul punto, avrebbe assunto,
su loro esplicito mandato, la Deputazione provinciale della Prefettura di
Novara, composta da tre giuristi in funzione di arbitri.
Quest’ultima, con atto 7 marzo 1865 reso in
Domodossola, prese atto dell’accordo intervenuto fra i comuni in relazione alle
proprietà dei beni e sulla
giurisdizione territoriale stabilì che, fermo restando nel resto la
ripartizione proposta nella relazione dell’Ing.Protasi, la giurisdizione
territoriale sull’Alpe Veglia spettava interamente al Comune di Varzo.
Con il regio decreto 13 gennaio 1866, n.2763 a
firma Vittorio Emanuele II, reso a Firenze, a quell’epoca capitale del regno,
in conformità con la decisione della Deputazione della Prefettura, venivano
definitivamente fissati i confini fra i due comuni con un articolo unico che
stabiliva:
“Il nuovo confine territoriale dei Comuni di
Varzo e Trasquera è fissato quale risulta dal tipo planimetrico dell’Ingegnere
Protasi in data 25 febbraio 1863, e da vidimarsi d’ordine Nostro dal Ministro
predetto, sotto le modificazioni seguenti;==
Debbono far parte del territorio di Varzo tutto
quanto l’Alpe di Veia e la ragione circostante al lago Davino, e da quel lato
il confine tra il territorio di Varzo e quello di Trasquera sarà determinato
dalla linea che partendo dal pizzo di Valgrande e seguendo la cresta della
Montagna segnata nel tipo Protasi frà la ragione del Lago Davino e quella
dell’Alpe Valli (Vallé) va a terminare al torrente Cairasca inferiormente ed
alla distanza di metri 600 dal punto di confluvenza del rio Davino col detto
torrente…….e ferma sempre la esclusiva proprietà a favore di quello di
Trasquera di tutto il terreno comunale compreso fra la suddetta nuova linea di
confine e quella stata proposta dallo stesso Ingegnere Protasi che verrebbe a
trovarsi situata nel territorio di Varzo.”
Conseguentemente l’Alpe Veglia è tutto territorio del Comune di Varzo che esercita sullo stesso gli ordinari poteri amministrativi (di concessione, di autorizzazione, di polizia rurale, di eventuale imposizione fiscale ecc.) ma, parte dell’Alpe è di proprietà - alla stregua di un qualsiasi privato titolare dei diritti di proprietà ma non dei poteri amministrativi derivanti dalla giurisdizione territoriale - del Comune di Trasquera.
Si tratta dell’area compresa fra la vetta del Monte
Leone, il vertice montuoso denominato il Rossetto, il corso del rio Aurona, che poi assume il nome di rio Cairasca,
fino al confine territoriale allo sbocco della valle, area sulla quale
insistono gli agglomerati di Aione, Cianciavero, la Chiesa di San Giacomo,
l’attuale casa delle guardie del Parco Veglia Devero.
Il Comune di Trasquera ha, invece, oltre che la
proprietà anche la giurisdizione territoriale sull’area che, dal ponte sul
torrente Cairasca a Ponte Campo sale fino al confine con la cresta di
Valgrande: terreno sul quale insiste la via gippabile di accesso al Veglia.
In tale situazione pare ovvia la necessità di
stretta collaborazione fra i due enti per un corretto e completo utilizzo del
territorio: credo opportuno richiamare, sul punto, le parole di un mio illustre
predecessore, Sindaco di Varzo agli inizi degli anni 50, il Notaio Gabriele
Lincio il quale, correttamente concludeva un articolo apparso su Novara del
1970, avente ad oggetto la situazione giuridica oggi trattata, con queste
parole:
“Nelle prospettive di sviluppo della zona, è auspicabile che all’azione coordinatrice dell’ente territoriale corrisponda da parte delle due comunità di Varzo e di Trasquera un’adeguata comprensione dei problemi, in un fattivo spirito di collaborazione.”
Per completezza va segnalato, dal punto di vista
amministrativo, che i comuni di Varzo e Trasquera, fanno parte del Consorzio
Miglioramento Alpe Veglia, costituitosi fra Enti territoriali, proprietari di
fabbricati, alpigiani ed operatori, con atto Notaio Lincio del 11 febbraio
1969; il Consorzio negli anni ha svolto, ed ancora oggi, svolge un’opera
meritoria di collaborazione con gli Enti pubblici per affrontare e cercare di
risolvere le molte problematiche legate all’Alpe dall’accesso, agli acquedotti,
ai servizi in generale.
Vi è poi da sottolineare la grande importanza che
ha avuto, ha ed avrà, la istituzione del Parco Naturale Alpe Veglia, avvenuta
con L.R. 20/03/1978 n.14 per l’economia dell’Alpe e, più in generale,
dell’intera comunità della Valdivedro.
E’ di tutta evidenza, quindi, che sia i due Comuni,
sia il Parco, sia il Consorzio Miglioramento, dovranno continuare ad operare
con spirito di collaborazione, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze
ed in sintonia, possibilmente,con gli altri enti territoriali
sovracomunali -Comunità
Montana, Provincia, Regione- perché l’Alpe Veglia possa continuare ad essere,
da un lato, la perla incontaminata che i nostri avi ci hanno regalato e,
dall’altro, un elemento tutt’ora importante per la nostra economia.
Un’economia ancora fondata sull’agricoltura e la
pastorizia ma protesa, anche, verso un moderno sviluppo del turismo: un turismo
che, rispettoso della cultura dell’Alpe, dell’ambiente, della natura in, una
parola,un turismo pulito, consenta un corretto apporto economico alla intera
Comunità della valle.
C’è da dire che gli interventi edilizi di recupero
di strutture ricettive -
compiute sia da imprenditori privati, sia dagli Enti pubblici, che stanno
ristrutturando l’albergo Monte Leone- le opere di manutenzione e consolidamento
delle attuali vie di accesso, gli interventi sulla sentieristica, le
prospettive di un accesso sicuro all’Alpe, la promozione del territorio
compiuta in sintonia fra i soggetti che da anni operano al Veglia, lasciano ben
sperare nel futuro.
Un futuro che veda l’Alpe Veglia come un costante
motivo di richiamo per appassionati italiani e stranieri, in particolare per i
nostri amici Vallesani, inserita nelle mappe delle traversate alpine
trasfrontaliere quale luogo in cui si possano apprezzare bellezze naturali,
tradizione, cultura, prodotti tipici, buoni servizi, grande ospitalità.
Sotto lo sguardo attento e severo del nostro Monte
Leone, la montagna più alta, bella e suggestiva delle Alpi Lepontine.
Bibliografia:
·
Giorgio Alvazzi, La valle di Vedro ed il Semione,
Domodossola, 1913;
·
Giorgio Alvazzi, Statuto Vallis Diverii, Novara, 1943;
·
Av Alpe Veglia parco naturale, estratto dalla rivista
Novara, dicembre 1970, fra cui: Tullio Bertamini, Secoli di vita pastorale;
Gabriele Lincio, note storiche sulla posizione amministrativa dell’Alpe Veglia,
un solo Comune: Varzo, due proprietari Varzo e Trasquera;
·
Tullio Bertamini: L’Alpe Veglia: cenni storici in
Oscellana, anno XXI, Luglio-Settembre
1991;
·
Bruno Stefanetti, Gli Statuti della Val Divedro Tesi di
Laurea Università Studi di Milano,
1978/79, Relatore Ch.mo Prof.Vismara.