FORMU MONTE LEONE - 10 AGOSTO 2002
Varzo – San Domenico 10 agosto 2002
Il Monte Leone
nel Parco Naturale Veglia - Devero
Marco Piretti
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Presidente Parco Naturale Veglia-Devero
0. Premessa
Il Monte Leone (3552 m) è la vetta più alta delle Alpi Lepontine e si eleva all’estremità occidentale della catena tra il Passo del Sempione e l’Alpe Veglia. La sua bellezza deriva dai diversi volti della montagna: l’ampia distesa glaciale dell’Alpjegletscher, le due pareti di roccia alte 1000 m che precipitano sui pascoli di Veglia, l’appartato e severo versante nord con i ghiacciai pensili.
il suo toponimo deriverebbe dall’italianizzazione dell’espressione dialettale “Munt d’Aiun”, ossia monte di Aione, uno dei nuclei rurali di Veglia.
Ai
piedi del Monte Leone si stendono i pascoli del più grande alpeggio
dell’Ossola. Per millenni, ai piedi della nostra montagna, gli uomini hanno
vissuto, lavorato, amato e litigato. La storia del popolamento dell’alpe
Veglia, dalla Preistoria agli esiti attuali, è un esempio straordinario di come
gli uomini siano vissuti e vivano sulle Alpi. Con questa mia relazione intendo
percorrere le tappe di questa avventura.
1. I cacciatori preistorici
Negli ultimi 100.000 anni le Alpi sono state interessate da un
forte raffreddamento del clima che determinò un’espansione dei ghiacciai. La
conca di Veglia ospitava un grande ghiacciaio di circo la cui presenza è
leggibile nella forma del territorio.
Allo sciogliersi dei ghiacci rimase un lago di notevoli dimensioni e
profondità. Nei millenni seguenti, le
acque di enormi torrenti colmarono progressivamente il bacino con materiali di
trasporto. Ricerche geologiche sul piano dell'alpe, effettuate con carotaggi in
profondità, hanno rivelato uno spessore di 60-70 metri di limo glaciale.
All'alpe Veglia sono stati rinvenuti i
resti di un accampamento temporaneo di cacciatori nomadi della Preistoria. Gli
archeologi hanno portato alla luce molte schegge lavorate (di quarzo, ma anche
di selce) che risalgono al Mesolitico antico (metà dell'VIII millennio a.C.).
La scoperta è avvenuta nel 1986 ad opera
di Angelo Ghiretti e Paola Vavassori che hanno rinvenuto, sotto un grande
larice al centro della conca di Veglia a 1750 m di quota, alcuni manufatti di
cristallo che affioravano dal terreno nel solco dove era passato un trattore.
Nel corso dei dieci anni successivi, gli scavi condotti da Antonio Guerreschi
dell’Università di Ferrara per conto della Soprintendenza Archeologica del
Piemonte, hanno permesso di conoscere più a fondo la vita dei primi uomini che
nella Preistoria vissero sulle Alpi occidentali. Ulteriori ricerche, condotte
da Angelo Ghiretti, hanno permesso di identificare nel 1992 un altro sito
archeologico importante: il Balm d’la
Vardaiola, un riparo sotto roccia a 1950 m di quota sopra i pascoli di Pian dul Scricc alle spalle di
Veglia.
L'accampamento preistorico era un
campo-base da cui partivano sia gli esploratori lungo i percorsi di caccia sia
i cercatori di cristalli; a queste attività esplorative e di ricerca si
abbinava la caccia vera e propria a cui partecipava tutto il gruppo. Altre
tracce di presenza dei cacciatori mesolitici all’alpe Veglia sono emerse ai
2347 m del Pian d’Erbioi dove è stato
rinvenuto un trapezio di cristallo (probabilmente una punta di freccia).
Proprio la ricerca dei cristalli, i cui manufatti potevano essere agevolmente portati a valle e scambiati con altri prodotti, poteva costituire un valido incentivo per sfidare i misteri dell'alta montagna e spingere quegli uomini a salire ai piedi delle grandi pareti rocciose.
2. Il Balm
d’la Vardaiola e l’età antica
Nel Neolitico (“età della pietra levigata”) avviene una grande rivoluzione nel modo di vivere dell’uomo preistorico. Gli uomini iniziarono a produrre il proprio cibo, allevando gli animali e coltivando i campi. I gruppi umani abbandonarono il nomadismo e diventarono sedentari, costruendo villaggi stabili sui fondovalle. A partire dal Neolitico e in età storica, sulle Alpi le risorse della montagna continuarono ad essere la caccia, ma ad essa si abbinò l’utilizzo delle praterie alpine come luogo di pascolo del bestiame nei mesi estivi. Con il Medioevo comparvero i primi alpeggi e con essi la prima grande trasformazione del paesaggio alpino.
Con
l’utilizzo produttivo dei pascoli d’alta montagna e la frequentazione dei
valichi alpini per il transito commerciale e militare, nacquero necessità di
controllo del territorio. A tali esigenze può essere riferito l’utilizzo del
Balm d’la Vardaiola, un riparo sotto
roccia a 1950 m di quota sopra i pascoli del Pian dul Scricc. Vardaiola
significa “guardiola”, postazione da cui si osserva; il balm si trova infatti in posizione strategica sulla conca di Veglia
e sui pascoli alti. Gli scavi archeologici hanno rivelato che il luogo fu
frequentato dall’Età del Ferro al Basso Medioevo. L’analisi dei carboni di un
focolare con il metodo del C14, effettuata ad Oxford, ha dato una
datazione assoluta al 570 a.C.
Nell’economia del Neolitico e dell’Antichità,
le Alpi rimasero un’importante risorsa come riserva di caccia, attività che si
affiancò all’agricoltura e all’allevamento. Una pittura rupestre, scoperta
sulla parete del Balm d’la Vardaiola,
raffigura un ungulato a corna ramificate, probabilmente un cervo. Essa faceva
parte probabilmente di una scena dipinta più ampia che copriva la parete, ma il
freddo e le intemperie hanno provocato il distacco di scaglie dalla restante
roccia. La pittura dovrebbe risalire alla metà del IV millennio a.C., nell’epoca
del Neolitico finale.
3. Veglia: l’alp
A partire dal Medioevo Veglia fu
utilizzato come alpeggio. Per la gente di Varzo e Trasquera Veglia è l'alpe per
eccellenza: alp al maschile, con
toponimo essenziale di origine antichissima. Veglia non veniva quasi mai
nominata, era l'alp e basta! Uno dei
comprensori d’alpeggio più ricchi e vasti dell’Ossola. Nel XVII secolo vivevano
in Veglia, durante i due mesi di alpeggio estivo, circa 150 persone. Una
piccola comunità di uomini e animali dispersa fra il verde e le rocce della
montagna. Alla fine del’Ottocento in Veglia venivano “caricati” oltre 1000
bovini.
I pascoli sono il risultato di un lungo
lavoro che impegnò generazioni di montanari. Nella piana del Vaccareccio, a Pian Stalaregno e al Pian dul
Scricc non esistono sassi, ma solo giganteschi massi erratici. Questa
situazione è il risultato delle accurate opere di spietramento effettuate nel
corso dei secoli. Allo stesso modo, un'attenta regolazione delle acque che
attraversano la piana impediva che piogge eccezionali facessero straripare i
torrenti portando ghiaie sterili sui prati attorno. I cespugli di rododendri e
mirtilli vennero anche estirpati nei lariceti radi e nelle radure utili al
pascolo. Apposite opere di canalizzazione fornivano di acqua i diversi gruppi
di rustici, permettendo anche la pulizia delle stalle e la
ferti-irrigazione. In autunno, dopo la
discesa dei bovini (scaria), gli
alpigiani provvedevano a spargere il letame accumulato nelle stalle per la
concimazione dei prati della piana ed eliminavano le principali piante
infestanti, presenti soprattutto ai bordi dei canaletti di irrigazione.
Gli estesi pascoli di Veglia furono
contesi nel XIV secolo tra i pastori della Val Divedro e quelli della valle del
Sempione. Per alcuni anni Veglia passò in proprietà ai vallesani che lo
ribattezzarono “alpe Livi”, ma fu poi riscattato con pagamenti in denaro e
bestiame. I conflitti di confine tra il vescovo-conte di Sion e il Ducato di
Milano per il controllo del traffico commerciale sul valico del Sempione si
conclusero con la sconfitta dell’esercito svizzero nella battaglia di Crevola
il 24 aprile 1487. A memoria di accordi firmati e poi disattesi rimane il
toponimo di Pian dul scricc (piano
dello scritto), un pascolo alto ad est di Veglia.
4. La nascita del turismo alpino
Alla fine dell’Ottocento emerge un nuovo
uso ricreativo dell’alpe Veglia in cui i valori estetici ed escursionistici
diventano lentamente predominanti. Nasce il turismo alpino. E’ una trasformazione epocale per cui la
montagna non è più solo luogo di produzione (allevamento bovino) ma diventa
anche luogo di ricreazione (turismo). Nasce una nuova professione:
l’albergatore. Nella prima metà del Novecento, Veglia divide con la vicina Val
Formazza la belle epoque dell’alta
borghesia lombarda.
L’Albergo
“Monte Leone” fu inaugurato il 17 agosto 1884 e gestito da Giovanni Roggia,
maestro di scuola e cacciatore di camosci.
L’albergo divenne ben presto famoso e frequentato da tre categorie di
visitatori: gli alpinisti impegnati nelle scalate sui monti di Veglia; i
turisti attratti dall’amenità dei luoghi e dalla sorgente d’acqua minerale; i
cacciatori svizzeri di camosci (la caccia era allora proibita in Vallese) a cui
Giovanni Roggia prestava volentieri cani e fucili. Ampliato una prima volta nel
1894, fu arricchito successivamente di un nuovo fabbricato ad opera del nuovo
gestore Umberto Zanalda, detto ul Tass,
“amante delle gonne, degli affari, ma soprattutto di Veglia”. Tra il 1925 e il 1928 viene costruito il
nuovo "Albergo Monte Leone" che offriva al turista un
"pacchetto" di servizi di concezione moderna (attrezzatura per il
tennis, il caseificio, la macelleria e lo stallaggio dei muli). Il sentiero
fino alla "portea", il cancello d’ingresso alla piana di Veglia, era
illuminato con l'energia elettrica prodotta autonomamente dall'albergo.
Nel
1875 due soldati di presidio all’alpe Veglia scoprirono lungo il Rio Mottiscia
una sorgente di acqua frizzante che colorava di ruggine le rocce vicine. Nel
1879 furono eseguite le prime analisi chimiche che confermarono “un’ottima acqua minerale acidulo ferruginosa”.
Nel 1884 all’Esposizione Generale Nazionale di Torino l’acqua fu premiata per
le sue proprietà tonico ricostituenti. La fama della fonte minerale favorì
l’affluenza turistica che portò alla costruzione del primo albergo in Veglia.
5. Una nuova professione: la guida alpina
Gli anni fra la fine dell’Ottocento e i primi Novecento furono il periodo dell’alpinismo esplorativo nel quale gli alpinisti cittadini, colti e benestanti, si facevano accompagnare da guide valligiane. Nasce un’altra nuova professione: la guida alpina. Le guide conoscevano i luoghi, portavano viveri ed erano garanti della sicurezza durante l'ascensione. Spesso le guide alpine erano anche cercatori di cristalli e grandi cacciatori di camosci e queste attività abituali erano la “formazione naturale” al mestiere.
L’americano
William August Brevoort Coolidge (New York 1850 - Grindelwald 1926) e
l’italiano Riccardo Gerla (Milano 1861 - 1927) furono i protagonisti,
nell’ultimo decennio dell’Ottocento, dell’esplorazione alpinistica sulle Alpi
Lepontine occidentali. Intellettuali dell’alpinismo, percorsero
sistematicamente, accompagnati da guide locali, i monti e le creste di Veglia.
Riccardo Gerla tra il 1889 (salita al Monte Leone) e i primi anni del ‘900
esplorò a fondo i monti di Veglia, Devero e Formazza accompagnato dalle guide
Lorenzo Marani di Antronapiana e Vittorio Roggia di Veglia.
Vittorio
Roggia (1864 - 1934) fu la prima
guida alpina di Varzo. Figlio del gestore dell’Albergo “Monte Leone”, fu il
migliore conoscitore dei monti di Veglia alla fine dell’Ottocento. Vittorio
Roggia fu il capostipite di una tradizione di guide valligiane a Varzo e
Trasquera che continua anche oggi. Ebbe cinque figli; i tre maschi Alfonso,
Corrado e Renato furono brave guide alpine che onorarono la professione e i
monti di Veglia.
Nella
piana di Veglia a volte si incontrano curiose tubazioni verticali ormai
arruginite che fuoriescono dal terreno di 80-100 cm. Sono i resti di
perforazioni eseguite negli anni ’50 e ’60 dalla società “Dinamo” per esplorare
in profondità la geologia della conca di Veglia. L’indagine era finalizzata al
progetto di costruzione di una diga in calcestruzzo alta 78 m presso la
“porteia”. L’obiettivo era la realizzazione di un bacino idroelettrico, della
capacità di 30 milioni di mc, che avrebbe sommerso completamente la piana di
Veglia. L’opera non fu realizzata perché le indagini geologiche, condotte da
Ardito Desio, misero in evidenza la scarsa tenuta del bacino a causa della
presenza di rocce permeabili e fratturate in grado di drenare le acque e
convogliarle nel sottostante tunnel ferroviario del Sempione.
Abbandonato
il progetto e scampato il pericolo, si aprì una nuova fase nella storia di
Veglia: quella del Parco Naturale che, istituito nel 1978, fu il primo della
Regione Piemonte.
Dapprima
fu accolto con una certa perplessita’ dalla popolazione locale perché la legge impone alcuni vincoli per
salvaguardare l’impatto ambientale, ma ora la paura è superata e sta a noi
dimostrare che e’ senz’altro un bene
per lo sviluppo turistico della zona.
L’attuale
Parco nasce nel 1995 dall’unificazione sotto un unico ente di gestione del
Parco Naturale di alpe Veglia (1978) con quello dell’alpe Devero (1990). E’ un
tipico parco alpino sulle Alpi Lepontine occidentali, al confine tra Italia e
Svizzera; tutela una superficie di 86 kmq (più 22,5 kmq di “zona di
salvaguardia” in Devero). Il territorio del Parco, con un’altitudine tra i 1600
e i 3500 m, è compreso nei comuni di Baceno, Crodo, Varzo e Trasquera. Compiti
principali del Parco sono la conservazione della biodiversità, la tutela e
gestione del territorio e la promozione
di uno sviluppo sostenibile per le comunità locali. Da anni il Parco opera
nell’ambito della Rete delle Aree Protette Alpine con altri 280 parchi e
riserve naturali delle Alpi in Italia, Francia, Svizzera, Liechtenstein, Austria e Slovenia. Il Parco Naturale
Veglia-Devero collabora attivamente alle commissioni di lavoro riguardanti la
comunicazione, il turismo, la ricerca scientifica con lo scambio di dati
relativi al monitoraggio della flora, della fauna e in particolare delle specie
reintrodotte e dei grandi
predatori.
Il
Parco è impegnato nell’opera di difesa della zootecnia alpina caratterizzata
dalla progressiva riduzione dei bovini inalpati. Al Pian dul Sricc ha
ristrutturato una grande stalla con annesso laboratorio per la lavorazione
casearia. Il Parco promuove anche l’agriturismo e la valorizzazione dei
prodotti d’alpeggio.
Non
tutte le montagne hanno lo stesso tipo di sviluppo, le Dolomiti e la Valle
D’Aosta hanno scelto un turismo diverso, noi pur prendendo esempio da loro che
hanno un’esperienza di molti piu’ anni
nel settore , cerchiamo di copiare e di migliorare, tenendo sempre in
considerazione al primo posto la coniugazione ambiente-lavoro.
In
questi ultimi anni si e’ intrapresa una politica fortemente innovativa nei
confronti della montagna, facendoci interpreti delle esigenze di crescita di
queste aree e investendo grandi risorse ed energie per la tutela e
valorizzazione di questo patrimonio. La
montagna e’ uno scrigno che ha conservato per secoli valori culturali e oggi puo’ diventare protagonista dello
sviluppo di intere zone, lo dimostrano le imprese che sono sorte e stanno
sorgendo, capaci di compiere innovazione e tradizione. L’obiettivo che vogliamo
raggiungere e’ quello di consentire alla gente di montagna di essere
competitiva facendo del proprio territorio il punto di forza per uno sviluppo
reale e durevole.
E’
giunto il momento di non “sfruttare” questo patrimonio ma di farlo crescere e
“fruttare” un po’ di piu’.
Il
turismo moderno all’alpe Veglia è legato ad attività a basso impatto
ambientale: l’escursionismo e il trekking, il free climbing, l’alpinismo. Un
rete di 80 km di sentieri segnalati, tre “Sentieri Natura” autoguidati,
la palestra di roccia de La Balma e gli
itinerari alpinistici sul Monte Leone e sugli altri monti delle Lepontine
costituiscono oggi le risorse di un territorio attrezzato per il turismo
ambientale, per questo e’ necessario che sorgano anche strutture ricettive
adeguate, cosi’ che la Regione Piemonte ha stanziato fondi per la
ristrutturazione dell’ albergo Monte Leone in Veglia ,per l’acquisto del
Cervandone al Devero e posteggi moderni all’Alpe Devero e a San Domenico.
Il
Parco promuove queste forme di turismo con escursioni didattiche e soggiorni
naturalistici, non tralasciando il recupero delle tradizioni e la
valorizzazione delle risorse culturali.
Università
e Istituti di Ricerca trovano in Veglia un laboratorio dove costruire nuove
conoscenze scientifiche. L’Università di Pavia è impegnata in una ricerca sui
lariceti subalpini e in studi vegetazionali, mentre l’Università di Parma è
impegnata da anni in indagini di archeologia territoriale. Il Parco svolge il
ruolo di centro di coordinamento, monitoraggio e informazione sul ritorno dei
grandi predatori (lince e lupo) e sul progetto internazionale di reintroduzione
del Gipeto sulle Alpi. Dal 1997 è in corso una ricerca sul campo per studiare
le popolazioni di gallo forcello (Tetrao
tetrix) considerato un indicatore ecologico dell’ambiente alpino.
7. Conclusioni
Dopo mille anni di utilizzo esclusivo di Veglia come alpeggio estivo per il pascolo del bestiame, agli inizi del terzo Millennio queste praterie tra alte montagne assumono valenze nuove. Il turismo escursionistico e l’alpinismo, la ricerca scientifica, l’educazione ambientale fanno di Veglia e Devero un laboratorio straordinario per ricercare nuovi equilibri con la natura. In questo ambiente, modellato dal lavoro di generazioni di montanari, il Parco affronta la sfida di coniugare la conservazione dell’ambiente con lo sviluppo sostenibile della società alpina.
Tutto cio’ premesso non e’ pensabile di poter realizzare tutto quanto detto se non prendendo anche in cosiderazione un accesso definitivo e sicuro per l’Alpe Veglia, in quanto al momento e’ molto precario e non permette di raggiungerla nella stagione invernale.
In
Veglia non ci sono i “leoni” ma, ai
piedi della grande montagna, c’è un territorio prezioso per gli uomini di oggi.