Le guide alpine e la tecnica di scalata
Gli
anni tra fine ‘800 e inizio ‘900 furono il periodo dell’alpinismo esplorativo
nel quale gli alpinisti cittadini, colti e benestanti, si facevano accompagnare
dalle guide valligiane.
Le
guide conoscevano i luoghi, portavano i viveri ed erano garanti della sicurezza
durante l’ascensione. Spesso le guide alpine erano anche cercatori di cristalli
e grandi cacciatori di camosci, queste attività abituali erano la “formazione
naturale al mestiere”.
L’alpinismo
esplorativo vede la ricerca di itinerari di salita lungo versanti non
conosciuti delle montagne, non ricerca le difficoltà o la via più impegnativa
ed esteticamente più bella. Il fascino di un versante vergine e mai percorso
dall’uomo catalizzava sogni e progetti di quella generazione di guide e
alpinisti.
Gli
attrezzi erano le picche, allora evoluzione moderna dell’alpenstock, le pesanti
corde di canapa che si irrigidivano se impregnate d’acqua, gli scarponi
chiodati. Di chiodi e moschettoni non si fa cenno nelle relazioni dell’epoca.
Emerge
tuttavia una concezione già moderna del salire le montagne, una visione per cui
la velocità di progressione diventa fattore di sicurezza a volte più importante
dell’assicurazione sui singoli passaggi. Alla base della metodica di scalata
stanno le condizioni delle montagne e il tempo disponibile; da questi dipendono
tecnica e progressione della salita.
(archivio Lino Ciocca)